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Note critiche di presentazione del catalogo mostra a cura di Andrea Diprè e Maria Laura Spinogatti
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Il fotomosaico ha un’unica madre che è una delle più straordinarie interpreti dell’arte contemporanea e che si chiama Maria Murgia. La sua intelligenza si riflette nella grande capacità interpretativa dei ritratti, personaggi appartenenti allo scintillio del bel mondo che l’artista coglie nella loro humanitas, infinitamente meno divi e dive ma infinitamente più uomini e donne. Persone vive, insomma, nella loro identità assoluta, delle quali è colto il momento decisivo, l’entelechia, parola desueta che definisce, di una intera vita, il carattere più autentico e profondo. Il ritratto riuscito rivela il personaggio nella sua verità, scevro da qualunque sovrastruttura ideologica, da qualunque superfetazione concettuale. Questa la forza di Maria Murgia, grande contestatrice di un’epoca buia in grado di recuperare intatto il basico istinto per le trasformazioni favolose.
Andrea Diprè
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Gli artisti meditano la tecnica come un laboratorio anche involontario di mezzi e metodi che dovranno condurli nel cuore del loro lavoro, nella visibilità, il più somigliante possibile, all'idea di partenza.
Il fotomosaico non è altro che una tecnica, un nuovo mezzo possibile per "registrare" il mondo da descrivere. Ma è una modalità che nasce dalla fotografia e che non dà tregua a residui possibili di un attaccamento, anche romantico, a strumenti espressivi tradizionali quali la pittura o la scultura. In un certo senso il fotomosaico, benché bidimensionale, potrebbe essere definito, in perfetta sintonia con le tendenze più recenti, come una installazione.
Tale prodotto corrisponde ad un'immagine fotografica distinguibile, in cui si articolano in modo geometricamente razionale una possibilità infinita di tessere di uguale grandezza. Non è un'immagine "difficile" quella che si osserva nell'opera compiuta, ma è un'immagine complicata e, almeno al colpo d'occhio, infinitesimale.
Maria Murgia è un'artista che, per tutto l'arco della sua lunga carriera, ha gestito il mezzo pittorico come campo di ricerca oltre che di espressione. Fin dagli anni Settanta, il gioco dei contenuti etnici, antropologici e culturali della "sardità" isolana, a cui appartiene, ha potenziato con estrema leggerezza un desiderio, serpeggiante, di porre contenuti forti in ipotesi di segno vibranti e coloristicamente di una vivacità astratta. Ma l'esigenza di occupare i risvolti di una pittoricità sempre più sperimentata con temi impegnativi, in alcune opere anche "politici", lascia spazio negli anni Ottanta ad una dissoluzione del segno, con l'accentuazione simbolica del mondo femminile e della figura della donna al centro dell'interesse emotivo dell'artista.
L'approdo al fotomosaico come mezzo espressivo è piuttosto recente e vede l'artista impegnata nel recupero di una vocazione critica particolarmente spiccata e, in fine, spregiudicata di una estetica dell'attualità.
Occorre, però, chiarire che cosa s'intenda per attualità. Il mondo cercato e rappresentato da Maria Murgia è, nuovamente, l'universo femminile che attraversa la sua spiritualità di artista e di artista donna da sempre.
Ma, al contrario della precedente produzione pittorica, che vede la conquista sempre progressiva di uno stile inconfondibile, la traccia anche strutturale e non solo di superficie dell'inden tità professionale, al contrario, oggi, modifica il punto di vista percettivo dell'artista stessa nel compiere e nel portare a termine il processo creativo. In altre parole, se nella produzione pittorica era possibile entrare nelle volute intimistiche e, a volte, gratuitamente sfuggenti la collocazione, la gravità, l'asse fisico delle figure femminili, ora nei fotomosaici compare e si afferma, "derealizzata" l'icona, realisticamente fotografica, della donna vista e rivista nei rotocalchi, nelle TV, in rete e continuamente protagonista di una percezione estetica non artistica, ma generale: dai cartelloni pubblicitari al sogno neutro di diete dimagranti.
La donna che appare ora attraverso la volontaria disorganicità, l'infinità polisemanticità del le tessere fotografiche, è una donna esteriore, di contro a quella interiore e poetica della produzione pittorica.
Ciò che emerge chiaramente è il salto "logico"della percezione, da un mondo intimo all'artista ad un mondo a lei esteriore, un mondo che è di tutti, di ciascuno di noi che osserva le modelle e le guarda anche, spesso, non "avvertendole" più nel prisma divergente di un mondo di immagini sempre più reali, sempre più inutili in una società che vive di se stessa, sul piano epidermico di una falsa comunicazione e che si esaurisce nel suo stesso autoconsumo incessante.
Alle icone delle top model e di alcune delle attrici più quotate dello star system recente, si contrappongono icone più "antiche", storicizzate dal gusto di massa e dall'apprezzamento mediatico che, dagli anni Ciquanta delle Marilyn e delle Audrey Hepburn alle apparizioni, più o meno ridimensionate nell'impatto emotivo, di una Lady Diana, riportano sullo stesso piano significativo le une e le altre, raccontando in fondo la stessa storia: la donna oggetto, la donna mercificata nella sua immagine più intima e vendibile.
Contemporaneamente, le icone politiche e sentimentali del Che, infinitamente frammentato nelle tessere che riportano la Cuba di oggi e la realtà dell'America democratica.
Maria Murgia, dunque, un'artista che nel pieno della sua carriera si rimette in discussione tecnicamente inaugurando, senza timore critico, una nuova cifra stilistica.
Maria Laura Spinogatti
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